Recensione: Le cose da salvare - Ilaria Rossetti

by - maggio 18, 2020

Buongiorno lettori!
Quella di oggi non è stata una recensione facile da scrivere perchè riguarda un libro importante, di quelli che, una volta chiusa l'ultima pagina, ti lasciano ad un tempo svuotati e pieni, di domande, di sentimenti a volte contrastanti, di paure e di certezze. Il libro in questione è Le cose da salvare di Ilaria Rossetti


LE COSE DA SALVARE
di Ilaria Rossetti
Neri Pozza | Bloom | 202 pagine
ebook €9,99 | cartaceo €17,00
12 marzo 2020 | scheda Neri Pozza

Il Ponte è appena crollato in un vortice di calce e blocchi di cemento. Gabriele Maestrale osserva incredulo la voragine che si spalanca ai piedi del suo condominio, un edificio scheletrico con cinque balconi su cui incombe l’ombra spezzata del Ponte. Voci angosciate echeggiano nella tromba delle scale. Durante la loro corsa, alcuni si fermano a picchiare alla sua porta: «Forza, raccolga quel che può e scenda, qui potrebbe venire giú tutto!». Gabriele non riesce a muoversi, preda di un dilemma che non lo fa respirare: quali sono le cose da salvare. Gli oggetti utili: il portafogli, i documenti, la giacca cerata, un paio di scarpe. Poi, forse, le fotografie, il cellulare, il libretto degli assegni, quel romanzo di Pavese appartenuto a Elisabetta, prima che se ne andasse. Che cosa salvare di una vita intera, quando tutto crolla, quando il mondo è ingombro di rovine prive di senso. Incapace di decidere che cosa portare con sé, Gabriele si lascia cadere sul divano; non si alzerà nemmeno all’arrivo dei vigili del fuoco, della polizia, di chiunque venga a intimargli di abbandonare la sua casa e mettersi al sicuro. Un anno dopo, la giornalista Petra Capoani viene incaricata dal direttore della Voce di scrivere la storia dell’uomo che dal crollo del Ponte vive asserragliato nella propria casa, circondato dalla desolazione e dalla solitudine. Da poco rientrata in Italia dopo diversi anni di lavoro a Londra, Petra accetta l’incarico senza entusiasmo, ma dovrà ricredersi quando Gabriele Maestrale le aprirà la porta della sua casa e, insieme, della sua esistenza. La giovane apprenderà quanta vita è racchiusa in un appartamento e come la memoria di «tutta la tragica bellezza di ciò che è passato» – come scrive Cristina Campo nella frase che fa da esergo a queste pagine. Vincitore del Premio Neri Pozza, il romanzo tratta di un evento reale come: mostrando le crepe e le ferite, e le vie di salvezza, che lascia nell’anima degli individui e nel cuore di una comunità.

Tu mi hai chiesto che cosa immaginavo gli altri avessero portato via da questo palazzo, mentre il Ponte veniva giù. Ma cosa mi dici delle cose che non hanno salvato? Di quelle che sono rimaste qui a morire?
Perchè, tu le hai immaginate? Ci hai provato?
Gabriele aveva sorriso. Un largo, mesto, sorriso.
Ogni secondo, Petra.

Non è semplice parlarvi di questo romanzo, come semplice non è stato leggerlo. Alternavo momenti di lettura vorace e inarrestabile ad altri di una lentezza per me, normalmente, esasperante ma che, in questo caso, era più che necessaria per capire.

Tutto sembra avere inizio da un Ponte crollato, un Ponte di cui mai viene fatto il nome, in una città anonima, ma di cui noi lettori, da quel giorno di agosto del 2018, crediamo di sapere vita morte e miracoli. Ma soprattutto abbiamo la certezza di sapere tutto su quello che è successo dopo, dopo la pioggia, i blocchi di cemento franati per metri e metri, le urla, i morti, la fuga dalle case che, a causa di quel Ponte, non vedevano mai il cielo per intero, di quelle vite che si sono dovute inventare un altrove. Tutto sbagliato, noi di quel Ponte non sappiamo niente, non meritiamo di saperne neanche il nome, come non sappiamo niente di chi, a causa del crollo, ha dovuto scegliere cosa portare via, cosa lasciare, cosa vedere distrutto da ruspe e nuovi crolli. Ed è questo il primo incontro che facciamo con Gabriele Maestrale, seduto nel suo soggiorno al quarto piano di una palazzina in via dei Bastioni, proprio sotto al Ponte che sta crollando e lui che non sa cosa portare via con se, cosa salvare di quella esistenza vissuta sempre un po' a metà, tra i genitori oramai morti da tempo e una ex moglie che lo ha lasciato solo. Così Gabriele non sceglie, resta lì, nella sua casa traballante ma che per miracolo resta in piedi, asserragliato in un appartamento senza più luce ma che finalmente può vedere il cielo per intero. Passa più di un anno e Petra Capoani deve intervistare per il giornale locale per cui lavora Gabriele, riportare a galla la sua storia, fare in modo che tutto cambi. Proprio lei che è tornata a vivere in città per stare accanto alla madre che di lì a poco sarebbe morta di cancro, deve scoperchiare il vaso di Pandora e decidere cosa lei stessa vuole salvare della sua vita.

Foto di Michele Guyot Bourg.
Leggendo il titolo si pensa subito che le cose da salvare siano beni materiali, oggetti pratici e ricordi che non possiamo vedere abbandonati in una casa che non sarà più abitata e che è diventata, da luogo rifugio per eccellenza, pericolosa. Ovviamente non è così, c'è molto di più in questo racconto inquieto e irrequieto, a volte frustrante, in cui presto si capisce che quello che bisognerebbe salvare sono le esistenze. Quella di Gabriele che a causa del Ponte ha messo in luce la crepa che lo attraversa da quando è solo. Ma anche quella di Petra che non riesce a superare il lutto per la madre e non riesce più a capire quel padre che le abita davanti. E quelle di Ima e Jala che semplicemente non esistono, sono apparizioni, numeri elencati distrattamente in qualche telegiornale.
Le loro sono vite monche e, proprio come quel maledetto Ponte, crollano e trascinano con sé ricordi, la vecchia lavatrice scassata portata in cantina quando avevi 10 anni e che non vuoi abbandonare, l'ultima volta che hai fatto l'amore con tua moglie sul divano, in silenzio, sapendo bene che il giorno dopo lei non ci sarebbe più stata. Cosa è giusto salvare? Cosa bisogna lasciarsi alle spalle, lasciare in quei momenti in cui tutto era più semplice e chiaro? Tante domande si racchiudono in queste pagine, in un continuo sali e scendi, domande che a volte non vorresti farti ma che devi per andare avanti e capire. Capire che sapevi come sarebbe andata a finire, cosa Gabriele avrebbe cercato di salvare. Poi salvare da cosa? Dal Ponte? Da ciò che è fuori? Da noi stessi?

Non è un romanzo semplice da digerire, perchè, da una storia che ti sembra distante anni luce da te, diventa in breve un groviglio di emozioni e di riflessioni, in cui tu stessa ti poni la domanda: quali sono le cose che voglio salvare?
È un romanzo intimo, che in qualche modo ti entra dentro e scava, porta a galla ricordi e paure, ti spalanca davanti agli occhi quel pezzo di cielo per troppo tempo è rimasto oscurato. Non è sicuramente qualcosa che si legge a cuor leggerlo. Io mi sono più volte domandata se bisognasse aspettare il momento giusto per affrontarlo, se in una certa misura bisognasse prepararsi. Io forse non lo ero, ma va bene uguale, perchè quando mai siamo pronti alle batoste della vita? Questo è stato per me questo romanzo, una batosta, il classico pugno allo stomaco, difficile da digerire ma proprio per questo necessario.

Come necessario è lo stile dell'autrice, poetico ma anche graffiante, in cui ogni parola, anche la più innocua, è ponderata e messa lì per uno scopo. Si alternano momenti eterni, fili di ricordi che si dipanano, discorsi diretti e indiretti che si alternano senza virgolette in un continuo unico,  ad attimi più secchi e netti, quasi da cronaca.

Ricordi, paure, emozioni, brandelli di vite che vorremmo afferrare e tenere sempre con noi, oggetti simbolo di un momento, angoli di casa che vivranno sempre in noi perchè testimoni di uno sprazzo di felicità. Ma cosa di tutto ciò salvare? Cosa abbandonare? Forse tutto, forse niente, o forse...

Si salva quel che vuole essere salvato.

Alla prossima






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