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Recensione: Ah l'amore l'amore - Antonio Manzini

Buongiorno lettori!
Finalmente venerdì! Perchè finalmente? Beh, domani sarà il Bologna Day!! Sarò a Bologna ma non sarò da sola... Seguitemi su Instagram per vedere con chi sarò e soprattutto quali libri compreremo (ciao risparmio, alla prossima volta eh). 
Ma sono felice che sia venerdì anche per un altro motivo. Ieri mi è arrivata da Sellerio (che ringrazio!) la mia copia del nuovo libro di Antonio Manzini e, dopo una sessione di lettura serrata, oggi posso finalmente sclerare con voi per il ritorno di Rocco Schiavone in Ah l'amore l'amore


AH L'AMORE L'AMORE
di Antonio Manzini
Sellerio Editore | La memoria | 335 pagine
ebook €9,99 | cartaceo €15,00
9 gennaio 2020 | scheda Sellerio 

Rocco Schiavone, vicequestore ad Aosta, è ricoverato in ospedale. Un proiettile lo ha colpito in un conflitto a fuoco, ha perso un rene ma non per questo è meno ansioso di muoversi, meno inquieto. Negli stessi giorni, durante un intervento chirurgico analogo a quello da lui subito, un altro paziente ha perso la vita: Roberto Sirchia, un ricco imprenditore che si è fatto da sé. Un errore imperdonabile, uno scandalo clamoroso. La vedova e il figlio di Sirchia, lei una scialba arricchita, lui, molto ambizioso, ma del tutto privo della energia del padre, puntano il dito contro la malasanità. Ma, una sacca da trasfusione con il gruppo sanguigno sbagliato, agli occhi di Rocco che si annoia e non può reprimere il suo istinto di sbirro, è una disattenzione troppo grossolana. Sente inoltre una profonda gratitudine verso chi sarebbe il responsabile numero uno dell'errore, cioè il primario dottor Negri; gli sembra una brava persona, un uomo malinconico e disincantato come lui. Nello stile brusco e dissacrante che è parte della sua identità, il vicequestore comincia a guidare l'indagine dai corridoi dell'ospedale che clandestinamente riempie di fumo di vario tipo. Se si tratta di delitto, deve esserci un movente, e va ricercato fuori dall'ospedale, nelle pieghe della vita della vittima. Dentro i riti ospedalieri, gli odori, il cibo immangiabile, i vicini molesti, Schiavone si sente come un leone in gabbia. Ma è un leone ferito: risulta faticoso raccogliere gli indizi, difficile dirigere a distanza i suoi uomini, non può che affidarsi all'intuito, alle impressioni sulle persone, ai dati sul funzionamento della macchina sanitaria. E l'autore concede molto spazio alla psicologia e alle atmosfere. Rocco Schiavone ha quasi cinquant'anni, certe durezze si attenuano, forse un amore si affaccia. Sullo sfondo prendono più rilievo le vicende private della squadra. E immancabilmente un'ombra, di quell'oscurità che mai lo lascia, osserva da un angolo della strada lì fuori.

L'ospedale gli pareva un aeroporto. Con decolli e atterraggi. Nascita e morte, guarigioni e complicazioni, sorrisi e pianti. Una massa umana dolorante o sanata, piena di speranze o di illusioni. 
Antonio Manzini ultimamente ci sta abituando bene, troppo bene forse. Ad un anno esatto dall'uscita di Rien ne va plus ecco riapparire Rocco Schiavone. Lo avevamo lasciato tra sangue e confusione, lo ritroviamo annoiato, ancora in ospedale, un rene in meno, una rottura di coglioni del decimo livello in più. Sotto i ferri è morto un noto industriale della zona. Tutto farebbe pensare ad un errore di trasfusione, ma Rocco, stufo e infastidito dal vicino di letto rompiscatole, segue tra le pareti dell'ospedale il caso, sguinzagliando per Aosta i suoi uomini.

Foto di kshirl02 da Pixabay
Dopo nove romanzi se continuiamo ad aspettare con ansia il ritorno di Rocco un motivo ci sarà.  E credo che quel motivo si sia evoluto nel corso delle pubblicazioni. Da semplice e un po' morbosa curiosità, pian piano è diventato vero e proprio affetto per il vicequestore. Rocco negli anni è rimasto sempre Rocco, burbero, attaccabrighe, con un'idea di giustizia più personale che universale. Eppure ha anche smussato i suoi spigoli, facendo entrare nella sua vita e nella sua casa Gabriele e Cecilia e i suoi sottoposti (persino D'Intino!!). Quella che non è cambiata è la sporcizia che ogni caso gli lascia addosso.
Se nei libri precedenti paura e confusione l'hanno fatta da padrone, in questo nuovo romanzo Rocco si troverà a questionarsi sulle perdite; Marina, Caterina, Sebastiano, persino un rene, un pezzo alla volta gli stanno portando via tutto e il vicequestore inizia a subire il peso di tutto ciò, la corazza che dopo quel 7-7-2007 si era costruito addosso inizia a scricchiolare, cos'altro sarà costretto a perdere? E sarà in grado di subire un nuovo addio?

Cos'altro devo perdere?

Costretto tra le pareti e i corridoi dell'ospedale, davanti al vitto immangiabile da lui coscienziosamente sostituito da pandoro e caffè, Rocco sembra aver iniziato un dialogo con se stesso, inframmezzato dalle indagini sul caso e dalle vite private di Scipioni, Pierron e gli altri. Ne primi romanzi infatti Rocco era l'unico e assoluto protagonista, negli ultimi invece Manzini ha deciso di farci scoprire anche gli altri personaggi, tra tresche amorose e brutti vizi.

Foto @repubblica.it
Nei due libri precedenti il caso da risolvere era stato bello complicato e venirne a capo era stato difficile per il vicequestore. In questo nuovo caso invece il giallo dietro alla morte dell'industriale Sirchia non è così inarrivabile e ad un certo punto un sospetto sul colpevole giunge, quasi come se Manzini non avesse voluto dare troppo peso al mistero ma avesse voluto usare l'indagine per far smuovere in Rocco domande e questioni filosofeggianti.

Ora io lo so che cosa bramate sapere... è l'ultimo libro della serie? Rispondere è arduo. No, credo proprio di no, perchè pur avendo una chiusa rimangono aperte alcune questioni, una in particolare. È un finale diverso dai soliti a cui siamo abituati, un finale chiuso che non ci lascia col fiato sospeso a chiederci che cosa succederà al vicequestore, ma il dubbio su come proseguirà la vita di Rocco in qualche modo resta. Personalmente credo che Manzini abbia voluto chiudere con un determinato filone di domande per prepararci alla prossima indagine e alle prossime ombre.

Alla prossima



Commenti

  1. Credo che Manzini abbia concepito un finale chiuso, anche perché giustamente dopo tanti libri avrebbe potuto essere monotono o comunque ripetitivo. Quindi una pausa di riflessione prima di riprendere con calma il suo Rocco sia d'uopo farla

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